Andrà tutto bene
Agli inizi del secolo scorso, Pietro Zanardi, mio nonno, non ne poteva più della fastidiosissima otite che lo affliggeva da anni. Se l'era presa girando estate e inverno per la campagna ferrarese in un carrozzino tirato da un cavallo. Spesso stava fuori giornate intere per visitare i suoi possedimenti di Masi Torello, Marrara, Gaibana, Focomorto e quelli di Mizzana, più vicini alla città. Ancora oggi a Borgo S. Anna, a poche decine di metri dalla superstrada Ferrara - Comacchio è in piedi una vecchia quercia all'ombra della quale il nonno era solito sostare per rifocillarsi e scambiare quattro chiacchiere con qualche altro possidente di passaggio.
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Caro petrolio
Un conoscente mi chiede: “Quanto fai con un litro?”.Solo qualche annetto fa avrei risposto ridacchiando: “Poco, meno di un pasto”. Ora, invece, dico a mezza voce: “Eh… parecchio… almeno un paio di giorni”.
“Due giorni!? Mi prendi in giro?”.
“No, perché?”.
“Ma… ma due giorni sono un’enormità! Non c’è litro di carburante che duri tanto”.
“Carburante?”.
“Sì, carburante… benzina, gasolio… che altro credevi?”.
“Ecco… parlando di litri, credevo… pensavo che tu intendessi…”.
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Benvenuto mezzosecolo
Raccontava mio padre che una nobildonna amica di famiglia, la contessa Pullé, raggiunta la cinquantina senza aver incontrato l’anima gemella, invitò parenti e amici a festeggiare le sue nozze con il signor Benvenuto Mezzosecolo. Lo stile perfetto della partecipazione e, soprattutto, l’attendibilità della mittente ebbero la meglio sulle non troppo velate perplessità dei destinatari, colti alla sprovvista dall’annuncio. All’invito dunque seguirono le immancabili felicitazioni, accompagnate, come d’uso, da regali adeguati al nome e al rango della sposa. Giunto il fatidico giorno, gli ospiti furono accolti con l’etichetta imposta dalla circostanza.
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Ricordo di padre Raffaele Massasso
“… sciaurati, che mai non fur vivi…”: il verso dantesco, gridato a tutta voce, feriva le nostre orecchie di somaracci ignavi. A proferirla era un pretino tutto nervi e spigoli, asciutto, bruno, spiccio di modi e di parole. Era il lontanissimo 1959 e il Massimo era ancora nel suo bel palazzone di Largo di Villa Peretti 1. Arrivavo fresco fresco da un esamino di licenza media sostenuto più che onorevolmente presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, che però aveva lasciato insoddisfatto mio padre. Fu deciso un cambiamento di scuola e, su consiglio del neocognato ed ex alunno Vanni Beltrami, la scelta cadde sull’istituto dei Gesuiti.
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Intervista
Premessa: Non ricordo assolutamente nulla delle circostanze che portarono a questa intervista. Ricordo solo di essermi assopito, come faccio di solito dopo pranzo, e di essermi svegliato con la sensazione di aver dormito a lungo e profondamente. In realtà il sonno, se così posso chiamarlo, era durato poco più di mezz’ora, come d’abitudine. Al risveglio trovai, sparsi sul divano, alcuni fogli scritti a mano con una grafia simile in tutto e per tutto alla mia. Sorpreso, li lessi. Era un’intervista, un’intervista a me stesso. Eccola.
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Curriculum Vitae
“Cento di questi giorni” è una tra le più usate e abusate espressioni augurali che rendono tragicamente ridicoli i compleanni delle persone adulte. Miracoli della scienza medica e altre diavolerie a parte, nessuno, superata più o meno faticosamente l’età delle illusioni, si augura in cuor suo di varcare traguardi ultracentenari. Se proprio vuol farsi un augurio, spera, dopo aver vissuto nel modo migliore possibile, di terminare la “carriera” alla chetichella, scampando i penosi inconvenienti che un lento, inesorabile declino comporta. E, anche se il mito dell’immortalità continua a esercitare il suo fascino su un gran numero di sprovveduti, sorretti da una fede incrollabile nel progresso, pochi, pochissimi, tra coloro che dedicano un pò di tempo a qualche riflessione, si sentirebbero attratti dall’idea di essere confinati sine die nelle paludi del genere umano.
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Vialone
“Eh, ormai ho imboccato il vialone”, era solito esclamare, una volta doppiata la fatidica boa della cinquantina, lo zio Francesco Zanardi Prosperi. L’originale metafora doveva senz’ombra di dubbio testimoniare il declino dell’esistenza, inesorabilmente avviata verso la sua conclusione. Il vialone evocato dallo zio, infatti, era quel passaggio tranquillo e fuori mano che dal convulso fluire della vita conduce dritto dritto alla misteriosa immobilità della morte. Lungo quel percorso vivi e morti (questi, soprattutto) hanno l’opportunità di rifare qualche conto lasciato a mezzo e dare, senza troppe pretese, un’aggiustatina al passivo.
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Coso
C'erano, a Roma, molti modi per interpellare una persona. L'appellativo più noto e comune era dotto', diretto a tutti, anche agli analfabeti, purché avessero almeno la parvenza dell'uomo indaffarato o del giovanotto di belle speranze; poi veniva l'accattivante capo, talvolta preceduto, con enfasi sfottitoria, da grande; maschio, implicava una complicità di genere, oggi considerata riprovevole; giovane e giovanotto (a giuvano'), nascevano da una generica e vaga connotazione anagrafica, come gli opposti nonno e nonnetto (a nonne'); usatissimo eccelle' (eccellenza), diretto a chiunque avesse uno straccio di autorità, anche se fittizia; quanto al fisico il limite era la fantasia: filagna (spilungone), nano, gamba de legno (zoppo), Cirano (nasone), belli capelli (calvo), scucchia (mento sporgente), Dumbo (mostruose orecchie a sventola), moro de Venezia (colorito bruno), sor tartaja (balbuziente), solo per farsi un'idea; sóla, era l'attaccapezze venditore di fumo, conte, chi posava a nobiluomo, burino, il villan rifatto e pariolino il borghesuccio arrogante.
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